Esperienze nello Zambia del Dott. Luigi Giaccaia  Biologo di Roma

Allorché mi è stato proposto di recarmi in Zambia per addestrare alcuni laboratoristi dell’Ospedale Pediatrico Arthur Davison di Ndola nell’uso di un citofluorimetro, la mia mente ha fatto un balzo indietro nel tempo a quando, più diventi anni fa, giovane laureato in Scienze Biologiche ed interno dell’Istituto di Antropologia avevo fatto domanda per andare come volontario civile in Mozambico nell’ambito di un progetto di collaborazione scientifica; progetto purtroppo annullato in favore di un altro a sfondo geologico.

Dott. Giaccaia Luigi

Ecco ora una seconda opportunità.

“Africa”! Continente immaginifico ed irreale, perduto come il grembo materno. Pensavo all’Africa ed immediatamente la mia mente si riempiva di suggestioni ed idee che solo appartenevano al regno della fantasia.

Un esempio?

Ad una decina di giorni dalla partenza dallo Zambia fanno sapere che il laser dello strumento non si accende. Panico! Un laser costa un mucchio di soldi e visti i problemi avuti in passato con l’assistenza tecnica  proveniente dal Sud Africa c’era il rischio di mandare tutto a monte.

Sperando nella fortuna chiediamo di verificare le prese di alimentazione elettrica, suggerendo di spostare le spine.

Ci sono voluti quattro giorni di colloqui telefonici per farlo fare! Quattro giorni di passione, ma siamo stati fortunati.

Sono imbarazzato a confessare che durante quei quattro giorni mi sono fatto convinto che la persona all’altro capo del filo avesse timore di toccare una spina elettrica non essendo abituatao all’elettricità, di cui la sua abitazione probabilmente era sprovvista.

Per fortuna la realtà non ha nulla a che fare con le mie fantasie.

Mi sono ritrovato in un laboratorio, sicuramente molto lontano dagli standard italiani, che denotava la disorganizzazione dovuta alla inesperienza, ma con persone desiderose di apprendere, di confrontare le rispettive esperienze, con domande sempre ben pertinenti ai vari argomenti trattati.

In ormai 15 anni d’attività ho incontrato molto raramente persone così desiderose di comprendere ed approfondire le problematiche dell’analisi citofluorimetrica nello studio dell’immunodeficienza da HIV, come Priscilla, Mulenga e Moses , i laboratoristi dell’Ospedale.

L’Ospedale Pediatrico Arthur Davison è centro di riferimento regionale per un progetto di diagnosi e cura volto alla prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV.  Il citofluorimetro, in quanto strumento che serve allo studio delle popolazioni linfocitarie del sangue, in particolare la sottoclasse dei T linfociti  CD4+  bersaglio del virus HIV, riveste un ruolo importante per il monitoraggio dei pazienti da sottoporre a terapia.

Si tratta di un progetto importante, per il quale sono già stati ottenuti i farmaci.

Priscilla, Mulenga e Moses, volendo avviare con traquillità l’attività diagnostica con il citofluorimetro, hanno voluto che mostrassi a tre tecnici della manutenzione dell’ospedale, come poter riparare alcuni dei guasti più comuni che potevano verificarsi sullo strumento.

Sono stati sei giorni intensi e stimolanti.

Lore e il CitofluorimetroMentre svolgevo l’addestramento guardavo il laboratorio, ne osservavo l’organizzazione, gli strumenti, mi informavo sul tipo di analisi normalmente eseguite e per quali patologie.  La mia attenzione è stata attratta da due cose.

La prima è stata la presenza di alcuni strumenti non funzionanti. Mi è stato piegato al riguardo che hanno problemi di assistenza tecnica che per lo più viene dal Sud Africa ed è molto cara; hanno cercato di arrangiarsi ma alla fine sono stati costretti a dismettere gli strumenti bloccati (a volte per problemi non realmente gravi).

La seconda il riconoscimento di alcune carenze organizzative ed operative tipiche, non solo dell’inesperienza, ma soprattutto della mancanza di supporto.  La visita al locale reparto di radiologia ha rafforzato queste osservazioni.

Ho cominciato a pensare che il problema non fosse semplicemente la fornitura di attrezzature (apparentemente queste arrivano) e l’addestramento nel loro uso, ma il supporto per la risoluzione delle problematiche applicative e tecniche.

Uno strumento che è semplicemente donato, con poche istruzioni per l‘uso, è destinato ad essere mal utilizzato ed a morire in breve tempo.

Interagendo con Priscilla Mulenga e Moses ed i tecnici della manutenzione, vedendo tutto quello a quello che gli amici dell’Associazione Liberato Zambia 2001 sono riusciti a fare per l’Ospedale di Ndola , per altri Ospedali e Missioni dello Zambia con le loro sole forze, ho cominciato a chiedermi dove si potrebbe arrivare con un intervento di riorganizazione del laboratorio inserito in un progetto di cooperazione e ricerca in cui fosse coinvolto qualche Ente italiano (Università, Ospedale, Ministero,etc..) e che preveda:

1)      La fornitura di apparecchiature calibrate sulle reali  necessità diagnostiche del laboratorio.  Apparecchiature di concezione relativamente semplice, con le parti di ricambio che, secondo l’esperienza delle ditte costruttrici sono più soggette a guasti.

2)      L’addestramento prolungato nel tempo per il personale del laboratorio che trasmetta la conoscenza dei principi  analitici delle varie metodiche e dell’organizzazione del laboratorio.

3)       L’attivazione di un sistema di supporto a distanza che faciliti la risoluzione dei problemi applicativi ed interpretativi.

4)      L’addestramento dei tecnici della manutenzione nella riparazione dei guasti più comuni, anche coinvolgendo le aziende produttrici degli strumenti.  In molti casi i guasti delle apparecchiature, specie in quelle di più semplice concezione, derivano da usura e blocco di parti o da perdita di calibrazione. Questo allo scopo di limitare il ricorso all’assistenza tecnica specialistica ai guati più importanti. Naturalmente, per apparecchiature complesse bisognerebbe pensare ad attivare dei contratti di assistenza tecnica cercando, laddove possibile, di farli gravare sul costo dei reagenti.

Sicuramente è un’idea di complicata a  realizzarsi, ma non impossibile. Quello che ho visto realizzato dall’Associazione Liberato Zambia 2001 mi autorizza a pensare che forse una strada si possa trovare.

Luigi Giaccaia

Roma, maggio 2004